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IO NON HO PAURA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 2 aprile 2003
 
di Gabriele Salvatores, con Giuseppe Cristiano, Mattia di Pierro, Aitana Sanchez-Gijon, Diego Abatantuono (Italia, 2003)
 
L'ultimo film di Gabriele Salvatores (tanto vale dirlo subito: una delle cose più sensibili ed intelligenti che ci giungano da tempo dal cinema italiano) deve il suo fascino al fatto di trattare solo apparentemente di un rapimento, visto attraverso gli occhi di un ragazzino, nella campagna pugliese degli anni Settanta,. Ed è proprio in quel "apparentemente" la condizione determinante perché il cinema, quello vero, riesca ad affermarsi di vita propria. In verità, IO NON HO PAURA è un film su qualcosa di incerto, di arbitrario. Su qualcosa di infinitamente più interessante di ciò che viene stabilito dalla legge, delimitato dalle consuetudini piuttosto che dalla natura umana: è un film sui confini, sulle frontiere.

Come nel romanzo di successo di Niccolò Ammaniti dal quale è tratto, il primo di questi confini si situa proprio all'interno del suo soggetto. Da un lato, il fatto di cronaca: con tanto di finale (il solo nel quale la sceneggiatura dello stesso Ammaniti non segua l'originale letterario) a colpi di sirene ed elicotteri. Dall'altro, la visione, altrettanto incerta, ma quanto più fragile, preziosa ed appassionante della dimensione interiore dei personaggi. In particolare, del giovane protagonista, il bravissimo Giuseppe Cristiano, quello che "non ha paura". Il mondo dell'adolescenza, e quello degli adulti. Ma pure, altra frontiera, ancora più impalpabile, più traumatica ma pure più poetica, tra le possibilità di intuizione, quelle che nascono da sogni di quell'età ancora infantile; e altri incubi, di una miseria ormai adulta, dettati dai condizionamenti sociali, economici, educativi che sappiamo.

Un mondo fantastico, legato alle ricorrenze eterne della natura, ai rituali dell'innocenza; ed una realtà percepita con delicata, più che crudele progressione. Confini, frontiere: dalle prime immagini del film, immerse in un'esplosione di infinite messi dorate di una campagna sontuosa, in un brulichio sensuale fino ad essere inquietante di quella calura implacabile che abbruttisce gli adulti, la consolazione del fantastico e del il mistero; poi, l'affanno, la crudeltà della conoscenza si affrontano in quell'universo bucolico. Così trionfante, eccessivo nelle sue tinte sature, nell'enfasi di certe angolazioni, nell'isolamento provocato dall'uso esasperato delle focali lunghe da indulgere all'oleografia? No, solo a tracciare altri confini: fra lo splendore aulico della favola e le regole meschine delle vicende adulte, il colore, la luce folle della natura ardita, ed il buio della miseria e della paura. Con un'energia, una emozione che ricorda, nei suoi momenti migliori, quella di un poeta dell'ordine cosmico, delle coordinate che ci tengono stretti alla natura come il Terrence Malick di I GIORNI DEL CIELO e di LA SOTTILE LINEA ROSSA.

"Voglio andar via", ripeterà il ragazzino quando si accorgerà di aver ormai oltrepassato le frontiere del sogno e delle illusioni: di aver dovuto abbandonare ormai definitivamente il microcosmo magico che condivideva con gli animali che alitano nel film per il macrocosmo di una realtà afferrata ancora a fatica.

Possiede lo splendore, e quindi l'acume del proprio sguardo, IO NON HO PAURA: fino a quando si alimenta di quell'incertezza, trattiene lo spettatore sui territori emozionanti e poetici delle cose che si intuiscono ma non si spiegano. Si appanna leggermente, (gli imperativi di costruire un film che raggiunga ulteriori frontiere, quelle del cinema d'azione a vocazione internazionale?) quando le immagini, la progressione drammatica, la logica del genere si fanno più esplicite, sfuggendo al mistero ed alla magia.


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